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Arrestati i due autori dell’agguato “in stile mafioso” di Spinetta Marengo

1842618427_rsz_20160525_111558Volevamo che abbassasse la cresta”. Sarebbe questo il movente alla base dell’agguato nei confronti dell’imprenditore edile alessandrino, avvenuto la sera del 9 maggio, nei pressi del cavalcavia di Spinetta Marengo. La vicenda è stata ricostruita nei dettagli dalla compagnia di Alessandria e dal nucleo investigativo dell’arma a partire dal momento della sparatoria.
I due uomini, ritenuti responsabili dei colpi esposi con precisione da una 357 Magnum, sono stati arrestati: si tratta di Vittorio Ippolito Giacobbe, 28 anni, originario di Gioia Tauro ma residente nel bresciano e di Vito Sorrentino, 39 anni, siciliano, anch’esso residente in provincia di Brescia.

Sono accusati di tentato omicidio, tentata estorsione, porto e detenzione illegale di armi.
La sera del 9 maggio, verso le 19,20, una moto Yamaha di grossa cilindrata avvicina la Bmw dell’imprenditore, di ritorno dal cantiere in zona Fraschetta. A bordo della moto ci sono Sorrentino alla guida e Giacobbe, come passeggero, che impugna l’arma. Nel tratto del cavalcavia, all’altezza del centro Bellavita, dopo un breve scambio di battute, Giacobbe fa partire quattro colpi, che si vanno a conficcare nella portiera dell’auto e nel sedile. In seguito diranno agli inquirenti che non volevano ucciderlo, ma solo spaventarlo. L’imprenditore prosegue verso Alessandria e, subito dopo il cavalcavia, si ferma e chiama la centrale dei carabinieri. La moto devia bruscamente verso Novi ma, a causa del terreno ghiaioso e bagnato, perde aderenza e i due cadono. Giacobbe si da subito alla fuga, mentre Sorrentino tenta di tornare in sella della Yamaha, ma cade nuovamente dopo pochi metri. Abbandona anche lui il mezzo e si dilegua nella campagna. Nel frattempo arrivano le prime pattuglie dei Carabinieri, avvisate anche da alcuni automobilisti che a quell’ora transitavano in zona. Iniziano le ricerche dei due: i carabinieri, attraverso il numero del telaio della moto, alla quale era stata asportata la targa, individuano il proprietario: il mezzo era stato acquistato il venerdì precedente a quello dell’agguato in un concessionario a Brescia e risulta essere intestato a Vito Sorrentino.

Secondo le indagini coordinate dal nucleo investigativo, Vito Sorrentino, trova rifugio in Sicilia, presso parenti, nella zona di Calatafini.
La zona è quella dell’area archeologica di Segesta, distese di campi e pascoli, scarsamente abitata, e terra di latitanti. Per giorni i carabinieri, con l’aiuto dei militari del posto, tengono sotto controllo un’abitazione di un nipote del Sorrentino. Quando sono certi che il ricercato si trovi all’interno della casa, scatta il blitz. Sorrentino, nel frattempo, per sfuggire alle ricerche, aveva cambiato pettinatura e colore dei capelli. L’arresto avviene lunedì mattina, 23 maggio. Dopo un vano tentativo di fuga, l’uomo viene ammanettato.
Le indagini dei carabinieri proseguono per stabilire eventuali figure coinvolte in un agguato che gli inquirenti non esitano a definire “in stile mafioso”.
La precisione dei colpi sparati e l’arma usata fanno pensare all’opera di due “professionisti”, abili nell’uso delle armi. L’intento, secondo gli interrogatori, non era quello di uccidere l’imprenditore, ma di spaventarlo. “Possiamo dire però che è salvo per miracolo e che, fortunatamente, nessun altro è stato coinvolto visto che a quell’ora il tratto di strada è molto trafficato”, dice il comandante provinciale Enrico Scandone.
La risposta dei militari ad un atto grave “è stata immediata” e i carabinieri hanno “saputo mettere in campo risorse e competenze adeguate”.

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