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La ‘ndrangheta in Liguria esiste! Sentenza ribaltata al processo “bis” di secondo grado dell’operazione “Maglio3”

La ‘ndrangheta in Liguria (operazione “Maglio 3” del 2011), con le relative diramazioni nel Basso Piemonte (operazione “Maglio – Albachiara” sempre del 2011) esiste! Dopo 7 anni di udienze, sentenza ribaltata dopo le assoluzioni del primo processo di appello, rigettate dalla Cassazione, da cui è poi scaturito questo secondo processo con sentenze di condanna per 416bis.

Gli accusati sono ‘ndranghetisti. Alcuni di loro sono affiliati al locale di Ventimiglia, territorio dove la presenza della mafia calabrese era stata già certificata dalla sentenza “La Svolta”. E per loro ieri pomeriggio, è arrivata la condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso: sei anni di carcere ciascuno.

È questo il verdetto del processo “bis” di secondo grado scaturito dall’operazione “Maglio 3” del Ros dei carabinieri contro le ”locali” della ’ndrangheta in Liguria, scattata nel giugno 2011; ieri, davanti ai giudici della prima sezione, sono comparsi dieci imputati accusati di essere i referenti delle cosche calabresi in regione. Nove sono stati condannati, uno assolto, che era ritenuto l’esponente dei clan a Sarzana.

Il loro difensore ieri mattina aveva sostenuto la tesi della mancata esternazione del metodo mafioso. La stessa tesi che aveva portato all’assoluzione sia in primo grado, davanti al gip di Genova, che in un primo processo d’appello. Ma poi era intervenuta la Cassazione, annullando la decisione dei giudici genovesi e rimandando il processo ad una diversa sezione della Corte d’Appello.

Il motivo? Per la Suprema Corte, essere affiliati alla ’ndrangheta e muoversi da ’ndranghetisti è sufficiente per la contestazione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso: «La prova degli elementi caratterizzanti può essere desunta anche con metodo logico-induttivo, in base ai rilievi che il clan presenti tutti gli indici rivelatori del fenomeno mafioso: segretezza del vincolo, rapporti di comparaggio fra gli adepti, uso di un rituale particolare per l’iniziazione dei nuovi soci, rispetto assoluto del vincolo gerarchico, linguaggio criptico e in generale una costantemente affermata separatezza delle questioni di ’ndrangheta rispetto alle ordinarie dinamiche relazionali». E, adesso, con la sentenza di ieri viene data una precisa chiave di lettura a quanto era emerso dalle indagini del Ros dell’Arma, allora coordinati dal pm della Dda Alberto Lari, oggi procuratore capo a Imperia.

Si attendono ora le motivazioni della sentenza.

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