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Ma davvero la mafia non c’è più?

Purtroppo gode sempre di ottima salute. Sta solo cambiando pelle.

In una intervista televisiva del 20 ottobre scorso,  Vittorio Sgarbi in veste di Sindaco di Salemi (TP) (http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=omnibuslife&video=18063), dichiarava a proposito di mafia: Io sono convinto che la mafia in Sicilia non ci sia più. Tutti i capi della mafia sono stati catturati. Oggi l’unico latitante mitizzato è Matteo Messina Denaro, ma non ha il potere di influenzare alcun sindaco”. Poi parlando dell’idea di creare un museo della mafia: “La mafia in Sicilia è interpretata come stato d’animo, come costume, come attitudine” come “idea metafisica”. Infine, sull’ associazione antiracket di  Salemi, “nessun cittadino ha mai denunciato o denuncia il pizzo”, traendone poi la conseguenza, tra la perplessità dei conduttori, che quindi anche il pizzo non ci sia più.

A riportarci con i piedi per terra ci ha pensato tra gli altri, pochi giorni dopo, anche il Ministro Roberto Maroni durante l’inaugurazione di un agriturismo realizzato in una villa confiscata a Totò Riina a Corleone. Accompagnato da Luigi Ciotti, in veste di presidente dell’associazione Libera, spiegava come solo in Provincia di Palermo nel 2008 “sono stati sequestrati beni per 571 milioni di euro: la sfida è quella di metterli definitivamente a disposizione dei cittadini”. E Maroni ancora non sapeva che il successivo 18 novembre la DIA avrebbe sequestrato altri 700 milioni di euro (dodici società, 220 tra palazzine e ville, 133 terreni per un totale di 60 ettari) ad un imprenditore prestanome proprio del suddetto Matteo Messina Denaro. Alla faccia della mafia che non c’è più!

Abbiamo quindi chiesto al Procuratore Giancarlo Caselli, che senso abbia parlare di antimafia sociale al Nord: “L’antimafia sociale al Nord si spiega con il fatto obiettivo che la mafia è questione nazionale, non circoscrivibile a certe aree geografiche, specie sul versante economico-finanziario”. La mafia sta quindi cambiando. “Infatti, il potere criminale ormai è sempre più potere economico e sta trasformando radicalmente il mercato e la concorrenza, riducendoli a simulacri. Ciò perché il sistema illegale gode di vantaggi enormi (capitali a costo zero; facilità di aggirare molti ostacoli di legge nell’acquisizione di quote di mercato; offerta di prezzi più bassi, non essendo il profitto l’obiettivo immediato; possibilità di avere costi unitari nettamente inferiori; la corruzione e la violenza intimidatrice praticate sistematicamente), vantaggi che spiazzano ogni concorrente “pulito”, ne comprimono gli affari o lo “espellono” dal mercato, quando non lo “svuotano” fino a risucchiarlo, consentendo ai mafiosi o ai loro prestanome di  impadronirsi delle sue attività. Così il libero mercato e la leale competizione economica diventano  scatole sempre più vuote.” Prosegue Caselli: “togliere alla mafia i beni che essa ha rapinato alla collettività è importante dovunque, non solo nel Mezzogiorno ma anche nel Nord. Anche perché  l’antimafia sociale  è materializzazione della legalità come convenienza: in quanto restituzione del “maltolto”,  cioè di parte delle ricchezze accumulate dalla mafia mediante un sistematico drenaggio delle risorse ed un’economia di rapina che condiziona e “vampirizza” il tessuto economico legale (a forza di estorsioni, usure, truffe, appalti truccati, tangenti, eccetera). L’antimafia sociale, in altre parole, è la dimostrazione che l’antimafia è recupero di legalità che “paga” anche in termini di nuove opportunità di lavoro e di nuove occasioni di iniziative imprenditoriali. Siamo nell’orbita di quell’antimafia dei diritti che è indispensabile realizzare (insieme all’antimafia della cultura) perché i successi  della repressione si consolidino e non risultino alla fine effimeri. L’antimafia sociale diviene così baluardo della democrazia contro i ricatti e le umiliazioni dei  mafiosi. E’ sintesi di dignità ed indipendenza conquistate col lavoro: il modo più efficace per coinvolgere la società civile in un effettivo impegno antimafia, senza più deleghe esclusive alle Forze dell’Ordine e alla Magistratura, inevitabilmente indebolite se lasciate sole”.

Carlo Piccini

 

2 Comments on “Ma davvero la mafia non c’è più?”

  1. #1 Alessandro Fazzi
    on Mar 8th, 2009 at 12:37 am

    Bell’articolo.
    Tra l’altro, dopo aver appreso le sopracitate dichiarazioni di Sgarbi sto andando ad aggiungere uno spillone nella sua bambolina vodoo dato che sembra funzionare: le sue condizioni peggiorano…

  2. #2 formaz
    on Apr 4th, 2009 at 7:33 am

    Autore
    La società dei prof truffatori
    Repubblica — 10 novembre 2004 pagina 7 sezione: PALERMO

    I fondi dell’ Unione europea erano destinati a incentivare l’ occupazione al Sud attraverso corsi di formazione nel campo del turismo e dello spettacolo, in realtà avrebbero finito per finanziare carrozzoni per spese mai sostenute. Andava avanti così da almeno tre anni: Salvatore Messina, che si fregiava del titolo di professore, continuava a sfornare corsi, li proponeva all’ assessorato regionale al Lavoro e riusciva a farseli pagare con i soldi del Fondo sociale europeo. Molte delle fatture del professore Messina sarebbero state false o gonfiate ad arte. Sono stati i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria a scoprire la truffa. E così, la Procura di Palermo e il gip Giacomo Montalbano hanno fatto scattare le manette per Messina e quattro suoi collaboratori: Maurizio Grandi (rappresentante legale di una società del Bresciano, la Mirai, indicato come il braccio destro del professore), Aurora Anania (tutor dei corsi di formazione), Cristoforo Candela (responsabile amministrativo di Innova, centro mediterraneo per lo sviluppo sostenibile, che è una delle associazioni riconducibili a Messina), poi Antonino Delli Carpini (legale della Ari srl). Vanno agli arresti domiciliari Sarina Barbaccia (altra collaboratrice di Messina, tutor dei suoi corsi) e Domenico Petrungaro, già funzionario regionale del dipartimento formazione professionale, pure lui nella schiera dei consulenti del professore. Tutti devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata nei confronti dell’ Unione europea. L’ inchiesta è molto più ampia: sono 13 le persone raggiunte da avviso di garanzia. Sotto inchiesta ci sono altri collaboratori di Messina e imprenditori che gli hanno fornito fatture dubbie per le più svariate prestazioni ai corsi di formazione. Un avviso di garanzia è stato notificato a un altro funzionario regionale che ha rivestito incarichi dirigenziali all’ interno del Gruppo rendicontazione del dipartimento formazione professionale: pure lui avrebbe fornito consulenza a Salvatore Messina. Secondo la ricostruzione della Guardia di finanza, il gruppo sarebbe riuscito a farsi finanziare corsi per 20 milioni di euro. Almeno 9 milioni sono ritenuti il frutto di costi gonfiati. E 5 milioni sono stati bloccati dagli investigatori in 39 conti correnti bancari. Il resto dei soldi – questo il concreto sospetto di chi indaga – avrebbe già preso la strada di qualche banca estera, probabilmente in un paradiso fiscale. D’ altro canto, la strada dell’ estero era stata presto segnata: molte delle società che fornivano servizi ai corsi di formazione finiti sotto inchiesta hanno sede in Inghilterra e fanno capo all’ entourage dello stesso Messina. «Riteniamo che i pagamenti per le prestazioni dichiarate e mai effettuate erano in realtà un sistema efficace per trasferire i soldi lontano», ha spiegato il tenente colonnello Giovanni Padula, comandante del Nucleo speciale di polizia valutaria di Palermo, nel corso della conferenza stampa tenuta alla caserma Cangialosi. L’ inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, dai sostituti Roberta Buzzolani, Maurizio Giordano e Lilia Papoff. s.p.

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